Magistrati Sindacalisti docenti e funzionari della PA

A loro volta magistrati, sindacalisti, docenti, funzionari delle P.A. rappresentano categorie professionali il cui ruolo sociale e la cui operatività quotidiana sono costantemente al centro di attenzione e spesso di polemiche trasformandosi in fonti di disagio psicologico aggiuntivo a quello di per sé derivante dall’onerosità e dalle responsabilità connaturate alle loro attività.
In generale ciò vale per tutti quei “corpi intermedi” tra pubblico e privato , tra economia e arte – come ad esempio artisti e operatori culturali in generale – che rientrano tra le formazioni sociali previste dalla Costituzione come contesti in cui gli individui sviluppano la loro personalità.
L’emergenza COVID19 ha fortemente impattato molti di questi contesti e categorie di operatori, si pensi agli operatori sanitari – in prima linea nel contrasto alla pandemia – e ai docenti – costretti a ridefinire la loro operatività “a distanza” nel volgere di qualche settimana acquisendo nuove competenze o rimodulandone altre ma anche ad artisti e maestranze del mondo dello spettacolo costrette a sospendere le loro attività.
Gli studi effettuati sul campo attraverso la raccolta di questionari tra alcune di queste categorie di operatori ha evidenziato ad esempio una recrudescenza di sintomi somatici a carico di diversi circuiti e apparati (sonno/veglia, circolatorio, gastro-intestinale etc.) collegabili al sovraccarico di stress che le particolari condizioni operative hanno determinato in questo frangente.
La progressiva ripresa dopo il lock-down ripropone quotidianamente nuovi problemi generando conflitti tra il desiderio di ritorno alla normalità, la consapevolezza dell’esposizione al rischio, la cogenza degli apparati che si rimettono in moto, la pressione dell’opinione pubblica che è anche l’utenza per cui questi operatori lavorano.
Come non mai queste categorie, più di altre, sono costrette a trovare un equilibrio tra auto-tutela egoistica e presupporti etico-deontologici delle loro professioni.
Per essi si ripropone, con gradi di libertà molto diversi, il conflitto di tanti lavoratori “invisibili”, esecutori di mansioni “umili” ma indispensabili per la sopravvivenza del sistema, che hanno mandato avanti durante la chiusura senza poter scegliere se rischiare o meno, costretti dal bisogno – e non da considerazioni di tipo etico o ideologico - “a non chiudere”.

 

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